BIBLIOFETICCI. Casa di Foglie - Mark Z. Danielewski

Oggi, anno del signore 2017, inauguriamo Bibliofeticci, rubrica a cadenza boh che si occuperà di quei testi che, per svariate ragioni, sono finiti nel buco nero dei fuori catalogo. E hanno, quasi nello stesso momento, scatenato le brame dei collezionisti.

A inaugurare la rubrica non poteva che essere Casa di foglie [tit. or. House of Leaves] di Mark Z. Danielewski autore che, se qui è praticamente sconosciuto, in America gode di un nutrito – e meritato - seguito di fan.


Danielewski impiega circa dieci anni per scrivere, anzi assemblare Casa di foglie, e nel farlo lascia che alcune parti vengano diffuse via web, suscitando fin da subito l'interesse del pubblico. Tredici anni è invece il tempo che impiega per mettere a punto il suo secondo lavoro, un'epopea familiare che è nota come la saga di The familiar.


Pubblicato in patria nel 2000, ristampato da allora più volte e considerato, a oggi, l'opera principale di MZD, Casa di foglie viene portato in Italia da Mondadori che, nell'ottobre 2005, lo traduce e pubblica nella collana Strade blu, in quella che sarà la prima e unica edizione italiana dell'opera.
A conclusione del suo ciclo contrattuale vitale, Casa di foglie esce dal mercato e scompare dagli scaffali delle librerie. Considerato il tipo di libro che Danielewski propone, è facile pensare che a spingere per la damnatio memoriae del romanzo siano state ragioni strettamente commerciali.
Ma è a questo punto che attorno a Casa di foglie si crea la leggenda, e frotte di collezionisti ne cercano ossessivamente traccia nei mercatini e tra i siti di vendita dell'usato.
Voglio dire: ho visto su Ebay copie personali cedute per cifre esagerate. E ho letto storie di collezionisti che, dopo aver pagato qualcosa come un centinaio di euro, si sono ritrovati tra le mani nient'altro che carta straccia una stampa casalinga del romanzo.
Io, che sarei anche felice di possederne una copia-feticcio, ma continuo a credere che la troverò al suo giusto prezzo, mi sono adattata a leggerlo grazie a quel miracoloso sistema che è il prestito interbibliotecario.


Cominciamo col dire che Casa di foglie non è un romanzo tradizionale. 
Possiamo definirlo un esperimento letterario, anche se tutte le opere di Danielewski adottano lo stesso sistema. Il termine esatto, comunque, è metaletteratura, che la Treccani definisce come

Produzione o pratica letteraria che ha come argomento i processi e le convenzioni della letteratura e della scrittura.”

Se avete avuto tra le mani S. La nave di Teseo potete farvi una parziale idea della tipologia di opere che MZD presenta al pubblico; libri che sono tali per il formato ma che rappresentano qualcosa d'altro: un viaggio tra simboli e citazioni e immagini, nel quale il libro stesso diventa parte di quella storia e di quel viaggio.


E così, appena usciti dalla biblioteca, ci troviamo tra le mani un libro che, in apparenza, narra di tre storie:
1- La storia di Will Navidson, fotoreporter che si è appena trasferito nella nuova casa in Virginia, ad Ash Tree Lane, assieme alla moglie e ai due figli. Navidson sta tentando di salvare un rapporto ormai a pezzi ma, impossibilitato a smettere i panni del fotografo professionista, decide di girare un documentario su questa nuova avventura.
A questo punto entra in scena

2- La storia di Zampanò, un anziano cieco e solo che ha dedicato la sua vita allo studio di questo documentario. Su The Navidson Record Zampanò ha scritto un'opera monumentale, ma frammentata in fogli e appunti sparsi ammucchiati in un enorme baule, alla quale viene dato il titolo di Casa di foglie. Casa di foglie è quindi, per prima cosa, un sagg
io su The Navidson Record, e come saggio viene presentato al lettore, non solo nel tono spesso accademico e involontariamente ridicolo, ma anche nell'enormità di note, riferimenti incrociati, brevi interviste, riflessioni, citazioni, rimandi e appendici che ne frammezzano la lettura.
La morte di Zampanò fa entrare nel gioco

3- La storia di Johnny Truant, un ragazzo poco più che venticinquenne, tossico, alcolizzato e con un passato doloroso alle spalle, che lavora come assistente in uno studio di tatuaggi.
Truant è colui che entra possesso del baule di Zampanò, contenente tutto il materiale prodotto dall'uomo su The Navidson Record, e lo ricostruisce pezzo per pezzo, frammento dopo frammento; lo modifica anche, aggiungendo aneddoti personali relativi al suo passato e al suo presente, mentre subisce il fascino assurdo e sconvolgente della Casa di Navidson.

Perché quello che doveva essere un documentario su una famiglia che, ridotta a legami sfilacciati dalle continue lunghe assenze del padre e con una madre sola e vittima di tormenti sconosciuti, tenta faticosamente di rattoppare le distanze, si trasforma in un racconto dell'orrore quando nella casa, senza preavviso alcuno, appare una porta nel soggiorno. Porta che dovrebbe condurre all'esterno e che invece si schiude su un corridoio completamente nero, e che a sua volta è l'ingresso a un labirinto ciclopico.

Mi sono perso dentro e non credo più che ci sia un'uscita.” [Casa di Foglie, House of Leaves, Mark Z. Danielewski, trad. F. Anzelmo, E. Brugnatelli, G. Strazzeri, Mondadori, 2005, p.393]

Nel momento in cui decide di mettere mano al lavoro di Zampanò, Johnny non solo si rende conto di quanto difficile sia l'impresa, ma anche di come si ritrovi tra le mani un lavoro che, in mezzo a riferimenti autentici, fa spesso ricorso a opere inesistenti, o a persone mai esistite. Dello stesso lungometraggio analizzato non esistono né copie, né riferimenti che non siano quelli forniti da Zampanò. Dei protagonisti del documentario non c'è traccia. E la prima conclusione di Johnny è che Zampanò non solo potrebbe aver inventato i saggi che fungono da base per la sua opera critica, ma l'intera storia del The Navidson Record.
Ed è allora che l'interesse e l'ossessione di Truant si fanno più forti, mentre il suo mondo si sgretola. Mentre lui si sgretola.


Il fascino del romanzo-che-tale-non-è è dato non soltanto dalla particolarità inquietante della casa, con quella voragine oscura che chiede un enorme prezzo a chiunque vi abiti intorno, ma è il legame stesso tra la casa, le vicende di Navidson, quelle di Zampanò e la storia di Truant il quale, mano a mano che noi ci addentriamo nel racconto, subisce un progressivo disallineamento con la realtà, manifestando i sintomi di una profonda, debilitante psicosi.

E proprio Johnny è la chiave dell'intero racconto, una storia che parla di amore e sofferenza, di abbandono e bisogno, e che si spiega nel momento in cui il lettore affronta le lettere della madre di Johnny e, a ritroso, le poesie Pelican.
Occorre dire che è lo stesso Danielewski a lasciare al lettore, a circa metà dell'opera, la scelta se proseguire con una lettura lineare del “romanzo” o se fermarsi, per dedicarsi subito all'appendice contenente le epistole. Ed è una scelta, questa, che condizionerà in maniera totale il modo in cui il lettore si troverà ad affrontare il resto della storia, perché sono proprio le lettere a chiarire non solo cosa, ma anche perché.


Perché Casa di foglie, che nella finzione metanarrativa viene presentato come un saggio, è in realtà un vero e proprio romanzo; è il romanzo allucinato di un uomo (un ragazzo) che cerca, all'interno di un labirinto fatto di tenebra nel quale ha dimora una creatura ferita e confusa e piena di rabbia, il proprio sé e quell'amore che gli è stato sottratto troppo presto. Un uomo che sa (spera) che all'uscita da quell'incubo oscuro ci sia l'abbraccio protettivo, la stretta di un corpo lontano, le parole sussurrate in una lingua consolatoria e personalissima e profondamente biologica.

Il discrimine tra sogno e realtà si fa via via più labile, finché Johnny, dal su padre adottivo soprannominato “bestia”, non diventa l'unico protagonista in una storia che è irreale dal primo all'ultimo personaggio, dalla prima all'ultima scena.

Sapete com'è svegliarsi da un sogno che non avete fatto? Be', per prima cosa non siete neanche sicuri se stavate sognando o no”. [Casa di Foglie, House of Leaves, Mark Z. Danielewski, trad. F. Anzelmo, E. Brugnatelli, G. Strazzeri, Mondadori, 2005, p.629]

La fusione dei vari piani di realtà/irrealtà trova compimento in un punto preciso del romanzo. La sutura avviene nel momento in cui Navidson, intrappolato nel cuore della casa e destinato a vagare per sempre nel nulla oscuro dopo un estremo tentativo di salvare il gemello (sua metà speculare), si trova a leggere proprio Casa di foglie, bruciando le pagine che ha già letto per avere una minima e necessaria fonte di luce mano a mano che prosegue nella lettura. Così Navidson finisce per leggere di se stesso, in un romanzo che non esiste. Ma se il romanzo non esiste è perché Navidson stesso non esiste, almeno non al di fuori delle pagine del romanzo. Le fiamme che anneriscono e dissolvono le pagine sono pezzi del labirinto che vengono meno, mentre lo spazio attorno a lui si dissolve.

La cenere in fiocchi svolazza nel vuoto che lo circonda, poi mentre il fuoco si ritira, si estingue, il suo bagliore improvvisamente spento, il libro è finito, senza lasciarsi dietro nulla se non tracce invisibili già disgregate nel buio.” [Casa di Foglie, House of Leaves, Mark Z. Danielewski, trad. F. Anzelmo, E. Brugnatelli, G. Strazzeri, Mondadori, 2005, p.585]

L'altro elemento caratteristico del libro, ciò che lo rende non solo supporto di lettura ma parte della storia stessa, è il modo in cui Danielewski confeziona (assembla) il suo lavoro.
L'autore sfrutta ogni possibilità concessa dalla parola e dalla carta per produrre visivamente, e non soltanto narrativamente, la discesa nel labirinto. Così ci si trova improvvisamente davanti a una muraglia di parole che riempiono fittamente il foglio; a pagine fatte di note che si schiudono sulla carta come cunicoli stretti che proseguono in successione, costringendo il lettore ad addentrarvisi, per poi perdersi e intrecciare altre deviazioni che non conducono in nessun posto. Anche in questo caso, sta proprio al lettore la scelta tra proseguire, scegliendo la direzione principale, o accettare la sfida di quei vicoli ciechi.


A queste pagine sovrabbondanti di testo si alternano spazi interamente bianchi, fatta eccezione per una sola stringa di testo, la cui continuità suggerisce l'isolamento del protagonista in quell'orrore vacuo che è la casa.


Salite e discese, cunicoli asfissianti e poi la perdita, il vorticare senza sosta al centro del nulla, sono sempre resi con l'associazione testo + pagina, dove la pagina diventa il luogo in cui il personaggio, la parola, si trova a muoversi, roteando senza sosta nel vuoto.


Un testo sperimentale, assolutamente atipico, a tratti satirico, che mette in scena il disagio, la frattura emotiva, la schizofrenia e l'orrore del buio della mente. Quando la realtà perde di forma e si tramuta in un coagulo di impressioni, di sensazioni, di forme che non hanno più volto che non ci appaiono familiari anche se lo sono, e tutto ciò che vediamo, tutto ciò che percepiamo, tutto ciò che sentiamo di essere è solo una belva ringhiante imprigionata nell'oscurità.

è un posto spaventoso, in uno stato di crescente putrefazione, a un passo (o forse due?) dallo sprofondare nelle tenebre. Resto sospesa in questo antro di pestilenza […]
È in questo posto che tua madre dorme, aspetta, e quando non ce la fa più si raggomitola nell'angolo più remoto della sua stanza.”[Casa di Foglie, House of Leaves, Mark Z. Danielewski, trad. F. Anzelmo, E. Brugnatelli, G. Strazzeri, Mondadori, 2005, p.758]

Parlando delle edizioni. Quella italiana, che ha un valore collezionistico da gabinetto delle curiosità, è abbastanza povera in termini di resa grafica. Confrontandola con le immagini dell'originale ci si rende conto di quanto perdano le illustrazioni e i collage in appendice che lì sono a colori, mentre nell'edizione Mondadori sono lasciate in un povero bianco e nero.
Inoltre mi sento di consigliare la lettura dell'originale House of leaves anche per motivi legati alla traduzione che, pur impeccabile, a mio avviso, per il tipo di meta-narrativa offerta da Danielewski, ne corrompe involontariamente la tenuta generale. E, soprattutto, non vi costerà un sacrificio a Odino.



Fin dall'inizio di The Navidson Record veniamo condotti dentro un labirinto e guidati tra i meandri dei singoli fotogrammi, e proviamo ad anticipare il montaggio successivo nella speranza di trovare una soluzione, un centro, un senso d'insieme, per scoprire soltanto un'altra sequenza che ci porta in una direzione completamente opposta, un discorso in continuo svolgimento che promette una scoperta che invece si va dissolvendo in ambiguità caotiche troppo indistinte perché si possa comprenderle a fondo” [Casa di Foglie, House of Leaves, Mark Z. Danielewski, trad. F. Anzelmo, E. Brugnatelli, G. Strazzeri, Mondadori, 2005, p.188]

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5 commenti

  1. Molto interessante, grazie. E ottima rubrica, che magari sarà utile alla mia Cliquot... :)

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    1. Federico ciao! Tra Salgari, che ho messo in wishlist e il prossimo progetto in pubblicazione, non c'è che da scegliere :D

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  2. Thanks designed for sharing such a fastidious idea, piece of writing is fastidious, thats why i have read it
    entirely

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  3. Proprio ieri ne ho avvistata una copia da Libraccio, mi ci sono avventata come un falco, ma dal momento che volevano 180 euro l'ho lasciata dov'era. Mi toccherà prendere un anno di aspettativa per leggerlo in inglese (ne lessi metà su una copia presa in biblioteca, copia che mi toccò restituire prima di arrivare alla fine e che adesso, per ovvi motivi, non prestano più).

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  4. Sono assolutamente d'accordo. Nella mia recensione (qui) ho premiato l'impaginazione e l'idea, ma di certo la storia non è la più originale nè la più interessante del mondo.
    Ho preferito la storia di Navidson rispetto alla vicenda personale del giovane narratore (di gran lunga), ma per il resto un grande boh. Non per tutti, sono d'accordo, e io stessa ammetto che leggerlo è stata una faticaccia... Comunque un'esperienza, ma una faticaccia!

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