L'ESORCISTA - William P. Blatty

A un mese dalla morte, comunicata tramite Twitter dal regista e amico William Friedkin, ho creduto fosse cosa e buona e giusta parlarvi, in quella che non sarà né una recensione né una nota critica, del romanzo più noto di William P. Blatty scrittore, attore, sceneggiatore e regista che ha chiuso la sua esistenza con un totale di diciotto opere (quattordici romanzi, di questi pochissimi tradotti in Italia; un'autobiografia e tre saggi) e una manciata considerevole di film.


Per diversi motivi, non ultimo l'impatto che ebbe sul versante cinematografico, trasformandosi in un vero e proprio modello che verrà in seguito imitato e riproposto in innumerevoli varianti, L'esorcista resta l'opera più famosa di Blatty, quella che un appassionato di narrativa di genere difficilmente può esimersi dal leggere almeno una volta in vita sua.

A una seconda lettura, con dieci anni in più sulle spalle e un figlio, molte cose mi sono apparse sotto una luce diversa; molti dettagli, che dieci anni fa erano passati in sordina, oscurati dal racconto della possessione e del relativo esorcismo, mi sono letteralmente esplosi davanti agli occhi.




Al di là della possessione della piccola Regan, elemento che catalizza fin da subito l'attenzione del lettore, con quel secondo incipit da brividi e la successione di elementi via via più tragici e raccapriccianti, è il concetto di fede e di perdita della stessa che Blatty, fervente cattolico, “mette in scena” nel suo romanzo. A questo tema principale, si collegano altre due tematiche importanti: la prima riguarda il rapporto di amore e colpa che si genera tra genitore e figlio, che Blatty sviluppa per ben tre volte nel romanzo; la seconda è l'amore.

Tema, quest'ultimo, che si lega al principale perché ciascuno degli interessati (da Chris a Karl, da padre Karras a padre Merrin che, a causa della sua omosessualità, aveva raggiunto il Medio Oriente in una sorta di esilio penitenziale) affronta una indissolubile e straziante scissione tra l'amore religioso e quello carnale, tra il bene e male, tra l'amore per i figli e il senso di colpa; e la colpa, alla fine, è l'elemento che li perseguita e li tormenta, implacabile come il vento pestilenziale che soffia all'inizio del romanzo e che è la cifra di Pazuzu.

Per tutto il romanzo assistiamo a due lotte: quella di Reagan contro Pazuzu e quella di padre Karras contro se stesso; una lotta impari, quest'ultima, perché Karras è un uomo finito e Pazuzu se ne rende conto dal loro primo incontro: padre Damien è un uomo che non spera, che non crede più, che osserva le immagini sacre e bacia i paramenti solo perché fanno parte della routine quotidiana. Un uomo che ha perduto la fede, sovraccaricato dal senso di colpa per aver abbandonato la madre, per averla delusa, per non essere ciò che gli altri si aspettano da lui.
Per non sapere chi è.

E si sentì intimamente furioso con quella parte di sé che lo rendeva vulnerabile agli altri e che non riusciva a controllare, avvolta dentro di lui come una fune sempre pronta a lanciarsi a soccorrere il prossimo davanti a un grido di aiuto” [L'esorcista, William P. Blatty, trad. di Cristiano Peddis, Fazi, 2009, p. 91]

Quando Chris lo incontra, implorandolo di visitare Regan, Padre Damien non è più un prete da molto tempo, perché ciò presupporrebbe una fiducia cieca in un Dio verso il quale rivolge delle preghiere stentate e del tutto aride. Rispetto a Regan, che viene posseduta per eccesso di fede e per una curiosità infantile che la porta a giocare con ciò che non dovrebbe, Karras è un vuoto perfetto da riempire. Ed è su quello che Pazuzu lavora, spingendolo un gradino alla volta nell'abisso della disperazione perché si convinca di essere fuori da ogni tipo di perdono, sbagliato in ogni ambiente, soprattutto in quel cielo che probabilmente neanche esiste, perché Dio non è mai manifesto e, ad ogni modo, non ammette errori dai suoi figli, mentre lui è lì, lui sì che esiste, e la sua presenza è tangibile quando gioca con il corpo della bambina, con gli oggetti della casa, con le anime che si agganciano ai suoi uncini e con gli sciocchi preti che tentano di cacciarlo.


Con la morte di padre Merrin, Karras sa che non c'è modo per lui di terminare l'esorcismo, che non sarà in grado di salvare la ragazzina se non attraverso l'ultimo sacrificio. Un sacrificio che Pazuzu sollecita. E che Karras compie non tanto per salvare Regan, quanto per punirsi e liberarsi da se stesso.
But the demon's purpose is to make us reject our own humanity, to believe, finally, that if there were a God, He could not possibly love us” [Intervista a Ultra Film Fax tratta da theninthconfiguration.com]
[trad. mia "Lo scopo del demone è costringerci a rinunciare alla nostra stessa umanità, è farci credere, in sostanza, che, se un Dio esiste, quel Dio non potrà mai amarci"]

Rientra nell'amore anche l'altro tema: il rapporto tra genitori e figli. Che è centrato nella relazione tra Regan e sua madre, ma è ripreso nelle storie collaterali, quella di Karras e quella, meno nota a chi ha visto il film ma non letto il libro, che vede per attori principali Karl e sua figlia. In tutti e tre i casi, Blatty mette in scena quella inconciliabile ambivalenza di un amore che non può prescindere dal dolore e dalla colpa, poiché ogni figlio viene al mondo non per sua scelta, ma per decisione di una coppia di estranei. E da quel momento, da quel primo vagito, il genitore si rende conto di quanto sia stata grave la sua scelta. La colpa arriva subito dopo l'amore, perché si ha il dovere di proteggere un piccolo essere umano indifeso dal mondo. Si ha il dovere di sacrificarsi per lui. E a lui viene, specularmente, affidato il compito di sacrificarsi per i genitori. Così ogni azione compiuta viene discussa inconsciamente in una sorta di tribunale interno, nel quale l'egoismo, il “voler fare qualcosa per sé” è sempre stigmatizzato e apre insuturabili ferite anche quando i figli sono ormai adulti, e le loro scelte sono indipendenti dalle nostre, o i genitori sono morti, e non c'è più possibilità di riparare alle scelte fatte.
Perché, nonostante l'età adulta, quella catena non si scioglie mai, e si resta sempre collegati, anche quando le strade si dividono bruscamente, anche quando la morte interviene falciando via uno dei due. Karras questo lo sa bene. La morte di sua madre contribuisce a evocare i suoi demoni, quei fantasmi di colpa e rimpianto contro i quali non ha difese.

In conclusione, il fulcro dell'Esorcista è proprio l'amore, in quanto la fede, per un uomo religioso come lo era Blatty dell'amore è la forma estrema e più compiuta. Amore filiale, amore parentale, amore sessuale e religioso. Amore non corrisposto, per quanto implorato, e che Karras, più di tutti all'interno del romanzo, sperimenta con straziante intensità ed estrema solitudine.


Per questo era scappato verso l'amore. E ora l'amore si era raffreddato. Durante la notte, poteva sentirlo fischiare tra le pareti del suo cuore, come un vento perduto che ulula disperato” [L'esorcista, William P. Blatty, trad. di Cristiano Peddis, Fazi, 2009, p. 54]

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1 commento

  1. Raramente commento i post, ma questa volta proprio non posso resistere!
    Le tue parole e la tua analisi mi hanno davvero colpito e mi hanno mostrato concetti che avevo intuito e probabilmete messo in secondo piano leggendo questo libro.
    Grazie!
    Forse già lo sai, dal momento che per come curi le recensioni si nota un'accurato lavoro di ricerca, ma il povero Blatty nella seconda parte della sua vita, successivamente alla perdita del suo amato figlio si ritrovò a nutrire poi le stesse ossessioni di cui aveva disquisito nel libro che poi era un seguito a questo, "Legion". Molti concetti che lasciano interdetti ne"L'esorcista", poi vengono in parte "chiariti" nel racconto lungo "Il traghettatore". Se già non l'hai fatto, te ne consiglio vivamente la lettura!
    Con stima,
    Roberta.

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