INTERVISTA A VITO DI DOMENICO. PARTE SECONDA. L'EDITOR E LO SCRITTORE


Come promesso, proseguiamo la nostra chiacchierata con Vito Di Domenico, curatore di Altrisogni vol. 3 nonché testa che sta dietro al polposo (nel senso di bestia marina) progetto Altrisogni. Che messa così fa molto Hydra. 

Ma non tergiversiamo.

Se ieri Vito ci ha spiegato come è nato Altrisogni, e come si arriva a comporre un'antologia di Aa.Vv. in modo che il bouquet di storie sia bello a leggersi, oggi approfondiamo quella parte del lavoro che molti sembrano ignorare (quando non apertamente esecrare) che va dietro il nome di editing. 
E vi vedo, lì, che fremete e limate le punte delle stilografiche (che poi non scrivono più, v'avverto). Ma prima di armarvi leggete, ok?

Dopo un approfondito excursus sul suo lavoro di editor, proseguiremo parlando di cosa devono fare gli autori che vogliono emergere davvero, del fantastico in Italia (e già mi fa male una costola) e chiuderemo con un titolo da leggere prima di morire, da ficcare subito in wishlist (io già ce l'ho, eheh).

Curiosi?
Ecco che si va. 
Buona lettura!




D.Collaborando con te per la riscrittura di Dietro il frigorifero ho avuto modo di apprezzare il lavoro del'editor, una figura che spesso viene, a torto, trascurata o considerata marginale nell'intera filiera editoriale (quando non confusa con altre figure). Puoi parlarci meglio del tuo lavoro e di quali sono, per esperienza, le doti che dovrebbe avere chi ha intenzione di svolgere questa professione?

Credo di essere la persona meno adatta a dare una definizione del lavoro di Editor, perché ho imparato il lavoro sul campo, non ho frequentato corsi specifici. In ogni caso, l’editor è chi si occupa di analizzare e ottimizzare il testo di un’opera. Non tanto dal punto di vista formale/grammaticale (quello spetterebbe al ‘Correttore di bozze’) quanto dal punto di vista della correttezza dei contenuti, della coerenza di ciò che fanno i personaggi e di quanto accade nella trama; ma anche dal punto di vista dell’impatto drammatico di scene e dialoghi. Ad esempio: se, in un romanzo, un personaggio perde la pistola in una scena e 10 pagine dopo reagisce a un agguato sparando, senza che sia mai stato spiegato come si ritrovi di nuovo ad avere una pistola, quella è una tipica situazione che l’editor deve notare e risolvere, proponendo all’autore una correzione. Così come deve notare e risolvere una data storica sbagliata o la descrizione di un luogo reale che non è corretta. Ma va anche oltre: l’editor è colui che a ogni snodo narrativo si dovrebbe porre una domanda del tipo: “È sensato che vada così? Il lettore ci può credere? Questa azione è coerente con il carattere del personaggio che la sta compiendo e con ciò che è successo finora?”. O ancora: “In questo dialogo c’è qualcosa che non scorre: come faccio a migliorarlo senza snaturarlo?”.

In pratica, l’editor è una specie di assistente dell’autore, qualcuno che deve offrire consigli e soluzioni per rendere l’opera più efficace di quanto sia in origine. E garantisco che tutte le opere hanno bisogno del lavoro di un editor, perché serve sempre un occhio esterno e altamente professionale che legga il testo e lo analizzi senza i legami emotivi tipici di chi l’ha scritto.
Prendo a prestito un esempio che fa spesso il mio amico Christian Antonini: se anche il super-veterano iper-professionale Stephen King ha un suo editor e lo ringrazia apertamente alla fine di ogni libro, vuol dire che l’editor serve anche a chi è già bravo a scrivere! Semplicemente, è una figura che fa parte della filiera editoriale, importante quanto un impaginatore, un copertinista o un tipografo. E non è un invenzione dei tempi moderni né una figura che “limita la vena creativa e artistica degli autori” come sostiene qualcuno ogni tanto. Anche Hemingway o Carver, come chiunque altro, hanno avuto i loro bravi editor, e nessuno si è mai sognato di mettere in dubbio l’importanza e la capacità di tali autori.

Le caratteristiche che servono per fare un lavoro del genere? Grande capacità di concentrazione, innanzitutto. Poi capacità di analisi, conoscenza della lingua italiana, tendenza a essere dannatamente pignoli (su quest’ultima vinco a mani basse!). Ma non solo: serve anche un orecchio “musicale”, cioè una capacità di “sentire la lingua” che vada oltre la forma corretta. Questa è una cosa su cui ho fatto molta esperienza quando scrivevo sceneggiature per fumetti e ancor più per il video: i dialoghi che funzionano sulla carta, ad esempio, possono suonare finti quando vengono recitati da un attore, se non hanno la giusta forma. Perché nessuno parlerebbe come scrive. Per ottenere che i personaggi di un romanzo risultino “vivi”, quindi, può essere utile rifarsi a tipologie di dialogo più simili a quelle della vita quotidiana, con frasi meno formali e più secche.
Poi c’è un’ultima caratteristica, fondamentale: avere una buona cultura o almeno altrettanta curiosità e pazienza, per poter verificare date, eventi e dettagli di qualunque genere. Oggi questo è molto più facile grazie al Web e a Google: pensa a quando dovevi sfogliare libri specifici o interrogare conoscenti per capire se davvero nel 1959 esisteva l’autostrada A14 così come viene descritta nel romanzo giallo dello scrittore tal dei tali, ambientato nell’Italia di quel periodo.
Insomma, fare l’editor non significa solo correggere il testo come una maestra, con la penna rossa. Significa entrare nei contenuti e nella struttura drammatica della narrazione, e capire dove e come è necessario intervenire per migliorarla.


D. Quali sono, da editor e professionista ma anche da lettore, le caratteristiche che fanno di un autore un autore buono? Per essere pubblicati, in Italia, è davvero necessario appiattirsi su standard narrativi già canonizzati e sicuri o la sperimentazione, alla fine, paga?

Lo sai che è una domanda da un milione di dollari, vero?
Da lettore, un autore buono è “semplicemente” quello che parla proprio a te. Tu lettore devi ritrovare in ciò che leggi qualcosa che percepisci essere indirizzata precisamente a te: non importa se per intrattenerti o farti riflettere, stupirti o divertirti. Se un autore non riesce a comunicare con te, non è buono per te.

È uno dei motivi per cui certi autori diventano “commerciali”: sono in grado di vendere la loro opera a una grande quantità di persone poiché la loro opera riesce a parlare a una grande quantità di persone. È la forza del mainstream.
Parlando invece da editor e curatore, secondo me l’autore buono deve essere innanzitutto intelligente e costante. Senza l’intelligenza non arrivi lontano, perché non riesci ad amministrare le tue capacità e quindi le sprechi, e senza la costanza ti esaurisci in fretta perché non riesci a crescere quanto dovresti. Poi bisogna saper scrivere in modo almeno corretto e scorrevole, ma soprattutto emozionante. Il resto lo si può studiare, imparare, ma senza questi elementi di base secondo me non sarai mai un buon scrittore. Di nessun tipo.

Per essere pubblicati in Italia cosa serve? Dipende da cosa vuoi pubblicare.
Il problema però, oggi come sempre, non è arrivare alla pubblicazione, ma arrivarci con un libro valido e uno stile maturo, per non bruciarsi il “dopo”. La pubblicazione è infatti solo il punto di partenza, non di arrivo, perché è cruciale quello che viene DOPO: far conoscere il proprio libro, sperare che piaccia anche alla critica, riuscire a superare certi volumi di vendita, ottenere riconoscimenti e visibilità e poi scrivere un altro libro che confermi che è tutto vero e non sei stato solo fortunato. E via così, di libro in libro.
Se anche arrivi a pubblicare e a piacere ma vendi 300 copie (e se frequenti nicchie di genere come le nostre NON sono numeri su cui sputare), sei solo all’inizio del percorso.
Per cui, ripeto, il problema non è farsi pubblicare: il problema è prima scrivere un buon libro (se lo fai riuscirai probabilmente a pubblicare) e poi riuscire a venderlo a un buon numero di lettori (se ci riesci verrai quasi certamente pubblicato di nuovo). In Italia il mercato è ristretto e difficile: i lettori sono pochi e i libri che se li contendono sono tanti.
Come scrittore desideri sperimentare? Ok, fallo. Ma ti consiglio di farlo solo se hai già mirato un editore che potrebbe potenzialmente pubblicare quella tua opera perché ha una collana adatta. Non hai trovato editori aperti alla sperimentazione? Decidi cosa vuoi fare: per te è più importante scrivere quell’opera sperimentale o pubblicare “qualcosa” con un editore? Se proprio vuoi sperimentare puoi anche autopubblicarti e vedere che succede. Se invece vuoi l’imprimatur di un vero editore (non uno a pagamento!), allora cerca di scrivere qualcosa che un vero editore potrebbe pubblicare.
Alla fine, l’editoria è una attività commerciale. Cioè l’editore – quello vero – quando pubblica un libro investe dei soldi, e lo fa solo se è convinto di poterli recuperare. Se un editore non capisce come potrebbe “piazzare sul mercato” il tuo libro, non lo pubblicherà. Magari la prima volta potrà anche decidere di rischiare e pubblicarti lo stesso… Ma se poi non recupera l’investimento non si azzarderà a rischiare di nuovo con te. Anche perché oggi nessuno ha soldi da buttare.
L’editoria è un mercato. Chi vuole bazzicare in questo settore dovrebbe capirlo e tenerlo in considerazione.


D. Ultima domanda. Da qualche tempo è in corso un dibattito, qui nel sottobosco di internet, tra chi sostiene che il fantastico si stia diffondendo a macchia d'olio tra il pubblico, e ne è contento, e chi ritiene invece che questa massificazione non abbia nulla a che vedere con una vittoria del fantastico (men che meno della narrativa fantastica), semmai a un suo impoverimento. Tu, che ti trovi dal lato degli addetti ai lavori, cosa ne pensi?

È un discorso complesso. Cercherò quindi di ridurlo ai minimi termini per non dilungarmi.

A mio personalissimo parere la diffusione di massa del fantastico è in ogni caso un bene, sempre e comunque. Anche se oggi può non incidere direttamente sulle vendite della narrativa fantastica, perché i giovani allo stato dei fatti non leggono granché e quindi non acquistano granché, pone le basi affinché domani o dopodomani (nel senso di lustri o decenni) il fantastico venga finalmente percepito come una componente “normale” della nostra cultura quotidiana, quindi meritevole di considerazione. Hai presente la solita annosa questione di “un disco volante non può atterrare a Lucca”? Con la sua diffusione di massa potremo forse riuscire a muoverci oltre le limitazioni poste da questa terribile frase, finalmente. Quindi, per me la diffusione di massa può non essere risolutiva nel breve termine, ma lo sarà invece a lungo termine, anche per la narrativa (che comunque resterà una nicchia rispetto ad altri media di maggiore appeal quali videogiochi, cinema, TV).



D. Avevo detto che era l'ultima domanda, ma mentivo. C'è il bonus. Da lettore di fantastico ti chiedo di proporre un titolo che chiunque, a tuo avviso, dovrebbe assolutamente leggere prima di morire, pena tribolanti rimpianti dell'ultimo secondo.
Per la miseria… consigliare un libro da leggere “prima di morire” è una gran responsabilità! Dovrò proprio pensare a qualcosa di significativo e memorabile…

E allora ecco: leggete assolutamente Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Arkadi e Boris Strugatzky. Io l’ho trovato meraviglioso. È un romanzo del 1972, esempio della migliore narrativa di fantascienza russa. Eccezionale, per me. Nel 1979 è stato adattato dal regista sovietico Andrej Tarkovsky nel suo film capolavoro Stalker, ma – e ora qualcuno mi insulterà – ritengo che il romanzo sia di gran lunga superiore alla pellicola. Anzi, è anche difficile fare un vero paragone perché il romanzo è qualcosa di completamente differente. Leggendo Picnic sul ciglio della strada (l’edizione italiana più recente è quella del 2011 di Marcos y Marcos) scoprirete come è possibile far stare in poco più di 200 pagine un mondo intero in cui convivono una miriade di personaggi caratterizzati vividamente, misteriosi visitatori alieni, un protagonista controverso ma umanissimo, colpi di scena inaspettati, una storia che si snoda nel corso di diversi anni, un ritmo che non molla un attimo e un’ambientazione descritta con sapienti pennellate che la rendono tanto misteriosa quanto agghiacciante. L’ho letto in poche ore, tutto d’un fiato, e mi è rimasto nel cuore e nella mente. Un vero capolavoro. Leggetelo.


Grazie ancora a Vito Di Domenico per aver accettato di rispondere alle mie domande. Domande che, spero, abbiano suscitato il vostro interesse. 
Per tutto il resto, c'è il box commenti.

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