NON SI UCCIDONO COSÌ ANCHE I CAVALLI? - HORACE McCOY

“Va bene”, dissi a Gloria. “Dimmi tu quando.”
“Sono pronta.”
“Dove?”
“Proprio qui. Alla tempia.”
[Non si uccidono così anche i cavalli?, Horace McCoy, trad. di Luca Conti, Terre di Mezzo editore, p. 121,2007]

Nell'America della Grande Depressione si consuma un duplice dramma: durante una maratona di ballo delle persone rimangono uccise per un colpo di pistola, altre, invece, muoiono lentamente, schiacciate da un'esistenza priva di sbocchi, arida di senso. 



Non si uccidono così anche i cavalli? romanzo

Gloria e Robert si incontrano, un giorno come tanti, nei pressi di Hollywood. È un incontro casuale: lei si sbraccia per richiamare l'autobus che l'ha appena lasciata a piedi e lui si ferma convinto che lo stia salutando. Chiarito l'equivoco, i due scoprono di avere qualcosa in comune: sono entrambi delle comparse, con il sogno della celebrità. 
Ma se per Robert l'idea di entrare a Hollywood è lo scopo della vita, per Gloria è solo un modo come un altro per fare qualcosa e illudersi che la propria vita abbia un senso.

Gloria, vera protagonista del romanzo, ha fino a quel momento vissuto un'esistenza fitta di eventi, tutti sgradevoli: l'abbandono, le violenze del patrigno, la zia che la considera una poco di buono, un uomo che le offre un tetto in cambio di sesso, un suicidio andato a male.

Di nuovo rigettata sulle spiagge della vita, come un pesce morente battuto dalle onde, Gloria convince Robert a farle da compagno in una Maratona di ballo, una delle tante che si tenevano in quegli anni in giro per l'America. Un'occasione per farsi conoscere dalla gente di Hollywood, dice lei. Un modo per tirare avanti un altro mese avendo qualcosa da fare e da mangiare, pensa.
They shoot horses don't they? novel

Non si uccidono così anche i cavalli? [They shoot horses, don't they?] romanzo d'esordio di Horace McCoy, pubblicato per la prima volta nel 1935, è il racconto di un'America stravolta e sconfitta, la faccia nascosta e ignorata del Grande Sogno Americano.

Sullo sfondo di una povertà che ingrigisce persino le scene che il lettore si ritrova a immaginare, mano a mano che fagocita il libricino di McCoy (poche pagine difficili da abbandonare), Gloria, Robert e gli altri ballerini si agitano, senza requie, senza riposo, sulla pista da ballo. 
Come orsi ammaestrati, si esibiscono in danze sfrenate per racimolare qualche spicciolo in più. Come cavalli in un ippodromo, vengono incitati a correre in derby che si concludono con la fine dell'illusione per molti, costretti a tornare a casa senza un soldo e con l'unico paio di scarpe slabbrato e pieno di buchi.

A raccontare la storia è Robert stesso, mentre presenzia al processo che lo vede implicato per l'omicidio della sua partner. Un omicidio brutale, compiuto a sangue freddo e considerato particolarmente crudele perché la vittima era una donna giovane, graziosa. Una di quelle che vengono definite, da chi non possiede grande fantasia, con tutta una vita davanti.

Robert annuisce alle accuse del giudice. E sorride. Perché quello che giudice e giuria non sanno, e non hanno voluto credere, è che quel gesto è stato un atto di carità. Che quel grilletto lui l'ha premuto solo perché è stato Gloria a chiedergli di farlo, così come si fa per un cavallo azzoppato.

Gloria è un personaggio sgradevole, deprimente e irritante. Un personaggio compiutamente negativo, che cova in sé i germi della disperazione per un'esistenza faticosa, vuota. Un'esistenza che non avrebbe voluto e dalla quale non sa come staccarsi. Gloria è talmente convinta che la vita non sia altro che un enorme inganno che più volte tenta di convincere una delle partecipanti ad abortire, non per lei, ma per non condannare il figlio alla loro stessa catena. Finché la donna viene costretta a lasciare la maratona perché la sua gravidanza crea scandalo tra il pubblico, perdendo così, di fatto, l'ultima occasione per avere il denaro necessario alle future esigenze del bambino.

Gloria è l'opposto di Robert il quale, pure nelle sue difficoltà, è convinto che l'occasione arriverà, presto o tardi. Basta solo aspettare il sorgere di un nuovo giorno. 

Se Robert è, quindi, la versione maschile di Rossella O'Hara Gloria ne è l'antitesi. Tanto l'eroina del romanzo della Mitchell è forte, intraprendente e volitiva, quanto l'altra è animata da uno scetticismo e da un cinismo fuori dal comune. Se la prima incarna lo spirito americano, la filosofia WASP e protestante, quella che confida nel domani come orizzonte oltre il quale è visibile il successo e la realizzazione, basta solo darsi da fare, la seconda ha già visto nel futuro tutto quello che c'è da vedere. E ne è rimasta disgustata. Non è un caso, allora, che l'autore scelga di metterle in bocca questa battuta:

“Sempre domani”, “la grande occasione capita sempre domani.”
[p. 118]

che suona come una parodia della battuta più famosa di Via col Vento. 
Perché Gloria è effettivamente la nemesi per propositivismo della O'Hara e dell'America da questa incarnata.

Gloria è una donna disillusa, voce di un'America esclusa, emarginata e messa in vetrina per la curiosità di coloro che assistono dagli spalti. Quelli che ce l'hanno fatta, senza farsi molte domande sul come e sul chi è rimasto schiacciato dai loro successi.

Un mondo in cui la fortuna e la gloria sono una chimera; seducenti ma irraggiungibili, perché su quel podio che sembra tanto largo non c'è posto per tutti, e si può vincere solo a scapito degli altri. 
Così si finisce intrappolati, come in uno di quei derby a circolo corsi nella grande pista da ballo, in un vortice privo di soluzione. E di ragioni.

Nota a margine.

La prima volta che sentii parlare del romanzo di McCoy fu di notte, una notte fonda e insonne. In tv davano il film di Pollack tratto dal romanzo, nel quale Gloria era interpretata da Jane Fonda e Robert da Michael Sarrazin. Di quel film, che usciva a trent'anni dalla prima edizione del romanzo, ricordo soprattutto la scena finale e il senso di malessere che mi lasciò per giorni. 
Non si uccidono così anche i cavalli?, film e romanzo, sono entrambi opere di una attualità deprimente. La metafora di un'umanità che si agita forsennata sulla pista da ballo del mondo; una folla che insegue, alba dopo tramonto, il senso della sua esistenza, e “che di continuo torna sempre allo stesso punto”, per dirla come la direbbe Poe.

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